Inebriati di Gioia - Lc 1,39-45 |
Dal Vangelo secondo Luca
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
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una città di Giuda |
Ain Karim - ormai diventata periferia di Gerusalemme -mantiene la memoria che la tradizione ci ha lasciato di questo incontro: una città di Giuda nella regione montuosa. C’è una origine storica di questo racconto anche se la comunità lucana lo rilegge alla luce dell’evento pasquale.
Questo episodio si pone tra due annunciazioni, a Zaccaria e a Maria, e due nascite, quella di Giovanni e Gesù, le collega tra loro e fa sì che si illuminino a vicenda.
Nell’incontro tra Elisabetta e Maria sono raccontati l’incontro tra due donne, ma anche l’incontro tra due epoche, tra due “testamenti”, la promessa e il compimento, il vecchio e il nuovo, due prospettive una prossima al termine ed una che sta sbocciando. |
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si alzò |
Il verbo ‘anastăsa (si alzò) è lo stesso della resurrezione (Lc 24,7) ci impone il passaggio da una dimensione più contemplativa della visita dell’Angelo ad una certamente dinamica come quella del viaggio; la risposta generosa della vergine «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38) sembra essere una accettazione passiva di una decisione di altri, mentre l’alzarsi e andare in fretta spinge subito verso l’azione. L’accettazione della Parola si fa esigenza e mette le gambe in spalla.
La fretta che l’evangelista sottolinea ci racconta lo stato d’animo di Maria in questo viaggio che non è d’ansia o di incertezza, non cerca conferme alla Parola dell’Angelo a cui lei ha già dato piena disponibilità; piuttosto esprime una fede carica, gonfia piena di sentimenti che premono e cercano l’altro per essere raccontati.
Maria si mette in viaggio verso la sua parente che è parimenti coinvolta nello stesso avvenimento. |
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Appena Elisabetta ebbe udito |
È sufficiente un saluto per mettere in moto la dinamica dello Spirito, quell’incontro supera quelle due donne, le precede. È il bambino nel seno di Elisabetta a sussultare; la parola usata da Luca è quella che descrive il saltellare del capretto appena nato ed esprime la gioia della vita.
Chiave di questo racconto è proprio la gioia mal contenuta che si manifesta nell’alzarsi di Maria, nel saltellare di Giovanni, nella meraviglia di Elisabetta, nel cantico che sgorga dal cuore di Maria. È la gioia per il compiersi ciò che il Dio dei Padri ha promesso di cui se ne intravedono i segni. |
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E beata colei |
C’è un passaggio nelle parole di Elisabetta capace di diffondere quella gioia che scopre esultare dentro di sé: prima proclama Maria Benedetta tu in maniera decisa e diretta, poi chiama Beata colei che ha creduto in modo del tutto impersonale. Prima riconosce l’opera di Dio che si sta compiendo in Maria scelta fra le donne, poi esprime beatitudine nei confronti di chi ha creduto nell’adempimento coinvolgendo tutte le donne che come lei crederanno: una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,27-28).
È diventato difficile oggi credere, troppe parole ci sono consegnate come vere, troppi miracoli sono paventati all’orizzonte, da quelli commerciali a quelli politici, quelli della finanza come quelli di una crescita economica, quelli del progresso tecnologico fino a quelli informatici, quelli della medicina come quelli dei cartomanti e degli astrologi. Anche le parole della religione non sono più “vere” come una volta, sono insediate da dubbi o peggio ancora da comportamenti contrastanti con ciò che si dice di credere, proprio da chi ci aspetteremmo una testimonianza più autentica. Così in nome di Dio si compiono ogni sorta di nefandezze.
Risuona allora questa beatitudine forse ingenua, di chi semplicemente decide di fidarsi di Dio, senza capire tutto fino in fondo (cf Lc 1,34; 2,50) custodisce ogni evento, è disposto a mettere in gioco tutta la propria esistenza perché da ogni istante possa sgorgare quella Parola che profuma di Promessa, ha i colori della Novità, ha i contorni del Compimento ed è capace di inebriare di Gioia. |
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